domenica 10 febbraio 2008

Tempo perduto. Come ricucire i propri brandelli...

Le pause nella vita di un giovane occidentale in carriera non si trovano mai sole: si accompagnano sempre a un oggetto, a un'azione, a una simbolica occupazione. Esiste la pausa-pranzo, la pausa-caffè, la pausa-sigaretta. Anche attraverso le pause si è voluto trovare, nel fissare appuntamenti e impegni, la cura all'ultima grande epidemia di peste: la paura di rimanere soli.
Chi è che impedisce alle pause di essere libere e svincolate? Di essere se stesse e di non fare altro che il puro niente? Sembrerà pur banale, tipo risposta da quiz-show, ma che non sia il consumismo, l'industria a imporci sempre e comunque la produttività. Solo colui che produce è utile alla società e il suo lavoro risulta tanto più pregiato quanto più è consistente.
Infatti, chi oggi non si sentirebbe in colpa a produrre quel cosiddetto "niente" per un pomeriggio intero? Un soggetto del genere verrebbe considerato un'inutilità.
E l'inutilità cosa pensa? Quali sono le meditazioni di chi resta in pura pausa, di chi ha il coraggio di affrontare se stesso e opporsi ai meccanismi aggrovigliati che ci costringono alle nostre agende? Cosa "produce" il prode nullafacente che si disfa della propria uniforme e della propria etichetta per recuperare il senso?
Pensa probabilmente, da saggio outsider qual è, che l'uomo del nuovo millennio sta perdendo la sua natura: ha troppa storia da ricordare dietro di se e il relativismo, che si è così faticosamente e meritatamente conquistato, lo destabilizza. Invece che apportare fantasia e interessanti diversificazioni di modi e stili, frantuma la realtà in troppi individualismi scalpitanti.
Comprende anche, il nostro vecchio outsider, l'impossibilità di ricomporre tutti i pezzi di mondo per rintracciare il senso, quella sete di verità e certezza che tutti bramano. "I testi si moltiplicano e i linguaggi evolvono il proprio sincretismo. Il senso è rintracciabile ovunque, in particelle, segmenti, manifestazioni di culture che sono frammentarie entità alle periferie del mondo".
Qualcuno ha detto che nel nostro tempo la storia ha raggiunto il suo capolinea: è finita l'epoca delle Grandi Narrazioni, dei grandi sistemi di pensiero che, pur nella loro azione passivizzante, davano un ideale in cui credere. La filosofia dell'utopia, della rivoluzione, la luce che ci porta fuori dalla caverna dell'ignoranza, che da' vita, dove è finita?
Diletta Pignedoli

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