In questi ultimi mesi molte cose sono accadute nel mondo. Ancora, non è calato il bisogno di urlare e plasmare la strada che il suono emesso deve indicare e percorrere nell’aria, tra noi, attraverso il mondo. Ovunque andiamo a zonzo con la mente, dai continenti nuovi e vecchi, americani, africani, eurasiatici, oceanici, dalle acque alle terre emerse sino alle stelle, pare proprio che non ci siano segni di una prossima fine del sogno.
Si continua a gettare uno sguardo oltre le montagne che circondano lo spazio in cui si vive, siano esse catene interne o esterne; si continua a tremare per un amore o un dolore, una gioia o una delusione infinita. Davanti alla pianura aperta quanto davanti al muro invalicabile della paura, della diversità, non si può non scendere a patti con la propria passione. La sensazione nuda che si prova non può mentire: ripartiamo da questo livello improvviso e incontrollato, svisceriamone le ragioni e l’orizzonte, portiamolo in superficie e riappropriamoci del luogo e del tempo della nostra vita costruendo ponti tra le profondità dell’io e le tante comunità che pulsano nella società.
La storia dell’umanità è fatta di muri, che separano laddove ogni speranza di convivenza è sepolta e impraticabile, senza compiere sforzi per perseguirla. Così ora si dice che c’è bisogno nuovamente di muri, così da aspettare un prossimo tentativo di contatto che resterà disatteso. Viene il sospetto che i ponti preesistenti siano stati smantellati e che quelli che si provano a costruire restino a metà, incompiuti. Quanto siamo presenti davanti ai nostri problemi e ai problemi della collettività? Sono prodotti della stessa fattura, giacché se mettessimo un neonato in una stanza buia per sempre, non avrebbe una memoria culturale, non saprebbe i colori, la differenza tra giorno e notte, avrebbe altri problemi di quelli che ogni giorno affrontiamo nel cuore. I nostri crucci sono risultati sociali, i nostri interessi orientati dalla società. Possiamo impaludarci nella testardaggine individualista, ma anche i nostri pensieri sono culturalmente condizionati e influenzati. Siamo destinanti a vivere in comunità, a misurarci con l’alterità.
La scrittura si pone sulla soglia, nel mezzo, tra l’io e il collettivo, vuole sondare quanto si estende la pianura, quanto è alto il muro, quanto profondo e ponderato deve essere lo sguardo per valicare i confini e mettere insieme una dopo l’altra una serie di mattoni utili a dare forma a un ponte. La scrittura è un compendio inesauribile da scoprire e da completare, per attraversare il mondo dove anche in questi ultimi mesi sono accadute molte cose e dove si accatastano emozioni contrastanti, spettri nucleari, surriscaldamenti imminenti.
Andiamo alla ricerca della verità e sappiamola con coraggio confutare innanzi alla prova dell’esperienza; osserviamo, cerchiamo di declinare i principi ideali e i sogni con l’azione. Nell’urlo vi è già in stato embrionale la possibilità di una svolta, e allora pensiamo. I saggi orientali dicevano che tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri, con i nostri pensieri costruiamo il nostro mondo. Tra un pensiero e la sua traduzione in espressione, la distanza è breve.
Da qui si riparte per scoprire i principi ideali e si guarda a sogno e al presente che avanza con il racconto di un attimo, nella foresta, vissuto da un padre e una madre: “Un giorno, guardarono nelle ombre e cantarono piano una canzone alla notte. Diceva: ‘Sogna per il mio bambino, così un giorno avrà il potere’”.
Scriviamo, sogniamo e viviamo per il futuro che arriva, per le radici che ci sostengono, per gli incontri che faremo “come se vivessimo per sempre, come se dovessimo morire oggi” disse una volta un amico comune.
Nessun commento:
Posta un commento