venerdì 22 febbraio 2008

Lo DICO io!

Non mi piace girare intorno alle cose, quindi andiamo dritti al punto: i Dico.
Ne parlano tutti, ne discutono tutti, ne dicono tutti…
La legge dei Dico è uno di quegli argomenti che t’impongono una scelta radicale: o stai dalla loro parte, o li disprezzi…
Solo che spesso queste scelte condizionano i nostri rapporti con gli altri, facendoci acquistare o perdere punti nella loro personale Top Ten dei Migliori Amici.
Finisce che, quando si parla con un cattolico super convinto e assolutamente anti-gay, viene da dire: “Ah, io, guarda, i gay non li sopporto proprio! Odio i Dico!”
Mentre con uno che vuole andare tutti i costi contro la chiesa, perché magari gli sta sulle palle il nuovo papa o il cardinale Ruini, si urla: “W i Dico! Li adoro, li amo, sono assolutamente d’accordo!”.
Oppure c’è chi ripete a pappagallo quello che ha sentito dire da suo padre, o chi è indeciso e dice che non gliene può fregare di meno.
Alla fine nessuno ha un’opinione propria.
Cosa assolutamente sbagliata, perché questo è un fatto che riguarda tutti: ognuno di noi, o dei nostri amici più insospettabili, potrebbe riscoprirsi attratto dal proprio sesso.
Non ci si può tirare indietro e cercare di proteggersi con un: “Tanto a me non capita”. E se capitasse, come ci si comporterebbe?
Bisogna capire il problema, prima di poter dire quello che si pensa.
E come fai a farlo se saltelli da un ideale all’altro senza capire chi ha ragione?
Analizziamo la situazione dalla parte del papa.
La famiglia è sacra, non si tocca e va protetta in tutti i modi. Infatti, cosa c’è di più importante nella nostra vita? La famiglia è l’appiglio più sicuro quando si rischia di cadere e non si può rovinarla con matrimoni o unioni tra due uomini o due donne. E questo è quello che più o meno tutti pensiamo, ma credo che sia spontaneo porre un’obiezione.
Ovvero: se di fronte a Dio siamo tutti uguali (considerato che siamo tutti fratelli), perché discriminare in modo così duro gay e lesbiche?
Non è uno scherzo. L’ho chiesto a un cattolico convintissimo, amico di mia nonna, che come idolo più grande ha Ruini: e lui, dopo averci pensato un po’ senza trovare una scusa decente, mi ha risposto: “Mah!”
E già, perché questo è un controsenso. Ragazzi ci siamo fregati da soli!
Siamo daccapo: salvare la famiglia, o i diritti delle coppie, omosessuali e non?
La risposta ce l’ho già. Non è un compromesso, né una mediazione; è soltanto la verità che secondo me conosciamo già tutti: possiamo salvare entrambi, facendo una semplice cosa che, però, per i giorni nostri è molto difficile da compiere. Non impicciarci delle cose private degli altri. Tirare il nostro mostruoso nasone fuori dalla vita delle persone che ci ruotano intorno.
Cosa me ne frega se il mio vicino va a letto con un uomo? O se la migliore amica della cugina di terzo grado della figlia della parrucchiera di mia prozia ha una fidanzata?
Meglio per loro che non sono più single! Intanto tutti gli altri eterosessuali del pianeta Terra possono continuare a sposarsi tranquillamente e fare tre dozzine di figli ogni decina d’anni.
Non credo che nessuno di loro si senta particolarmente minacciato dall’esistenza dei loro fratelli gay o delle loro sorelle lesbiche.
Nessun omosessuale ha mai minacciato mio padre (uomo sposato con donna) con una pistola all’uscita dal bar solo per la scelta che ha fatto, e le possibilità che succeda sono molto basse.
Forse mi sono persa gli ultimi gossip, ma non mi è giunta voce che il Presidente del Gay Pride abbia mai mandato una querela alla Chiesa per impedirle di celebrare i matrimoni.
Ricordiamoci del proverbio da nonno saggio: vivi e lascia vivere; e per una volta proviamo ad applicarlo sul serio.
Disegno di Mitarashi
Chiara Nizzi

Vivere è continua ricerca

Il primo risveglio è sempre difficile.
Quando si aprono gli occhi e la luce li ferisce come un ago di fuoco, l’istinto di ognuno è quello di richiuderli.
Ma si assume consapevolezza.
E si rimane immobili e perfettamente coscienti, occhi chiusi a osservare le macchie fastidiose che si rincorrono sulle palpebre, sapendo di doverli riaprire.
Di nuovo luce.
Luce sul mondo, luce per contemplarlo.
Per cambiarlo, dicono.
Cambiarlo, grazie tante! Ma sono solo io qua, con i miei occhi che piangono e la mia coscienza.
Che posso fare io?
Pensare.
Non servono proclami rivoluzionari, chiamate alle armi contro nemici ideologici.
La storia recente, per quel poco che ci può insegnare, dimostra che rivoluzione non fa mai rima con evoluzione. Semmai con involuzione.
Rivoluzione è illusione: chi la compie crede di poter cambiare qualcosa, di modificare il sistema; di fatto, però, modifica solo il nome e le modalità di questo. Sempre che succeda.
L a rivoluzione, nel suo senso comune, non porta a nulla perché la società all’interno della quale avviene è quella degli uomini, creatrice del modello precedente e successivo ad essa.
Se volete elogiare le azioni dei rivoluzionari e unirvi al loro ideale fate pure: ricordatevi, però, che l’unico merito di questi è di aver cambiato il gioco mantenendo le regole intatte.
Come cambiare, allora?
Come riuscire a trasformare davvero questo mondo?
La risposta è insita in noi: tornando alle origini, lasciando alle spalle qualunque forma di etica religiosa o politica, contemplando il mondo senza indossare il nostro travestimento abituale da esseri evoluti e superiori.
Vivere è continua ricerca: una vita regolata da dogmi che inebetiscono la curiosità non è degna di essere considerata tale.
Per cambiare il mondo mettetevi in gioco: fermatevi un secondo a considerare se tutte le vostre credenze e convinzioni sono davvero una base così solida come vi piace pensare.
Abbiate il coraggio di mettere in dubbio voi stessi, non il sistema creato dagli uomini; cambiando questo creereste solo un altro sistema umano e, in quanto tale, imperfetto.
La sola soluzione è ignorarlo.
Perché vale la pena vivere anche solo per il momento in cui la luce lacera l’occhio e distrugge tutte le convinzioni che, nella notte precedente la vita, abbiamo maturato; allora il dolore è immenso, ma non si possono più chiudere gli occhi.
Qualche lacrima colerà via, ma riusciremo finalmente a vedere il mondo.
Giuliano Gabrini

La scrittura tra sogno e società

In questi ultimi mesi molte cose sono accadute nel mondo. Ancora, non è calato il bisogno di urlare e plasmare la strada che il suono emesso deve indicare e percorrere nell’aria, tra noi, attraverso il mondo. Ovunque andiamo a zonzo con la mente, dai continenti nuovi e vecchi, americani, africani, eurasiatici, oceanici, dalle acque alle terre emerse sino alle stelle, pare proprio che non ci siano segni di una prossima fine del sogno.
Si continua a gettare uno sguardo oltre le montagne che circondano lo spazio in cui si vive, siano esse catene interne o esterne; si continua a tremare per un amore o un dolore, una gioia o una delusione infinita. Davanti alla pianura aperta quanto davanti al muro invalicabile della paura, della diversità, non si può non scendere a patti con la propria passione. La sensazione nuda che si prova non può mentire: ripartiamo da questo livello improvviso e incontrollato, svisceriamone le ragioni e l’orizzonte, portiamolo in superficie e riappropriamoci del luogo e del tempo della nostra vita costruendo ponti tra le profondità dell’io e le tante comunità che pulsano nella società.
La storia dell’umanità è fatta di muri, che separano laddove ogni speranza di convivenza è sepolta e impraticabile, senza compiere sforzi per perseguirla. Così ora si dice che c’è bisogno nuovamente di muri, così da aspettare un prossimo tentativo di contatto che resterà disatteso. Viene il sospetto che i ponti preesistenti siano stati smantellati e che quelli che si provano a costruire restino a metà, incompiuti. Quanto siamo presenti davanti ai nostri problemi e ai problemi della collettività? Sono prodotti della stessa fattura, giacché se mettessimo un neonato in una stanza buia per sempre, non avrebbe una memoria culturale, non saprebbe i colori, la differenza tra giorno e notte, avrebbe altri problemi di quelli che ogni giorno affrontiamo nel cuore. I nostri crucci sono risultati sociali, i nostri interessi orientati dalla società. Possiamo impaludarci nella testardaggine individualista, ma anche i nostri pensieri sono culturalmente condizionati e influenzati. Siamo destinanti a vivere in comunità, a misurarci con l’alterità.
La scrittura si pone sulla soglia, nel mezzo, tra l’io e il collettivo, vuole sondare quanto si estende la pianura, quanto è alto il muro, quanto profondo e ponderato deve essere lo sguardo per valicare i confini e mettere insieme una dopo l’altra una serie di mattoni utili a dare forma a un ponte. La scrittura è un compendio inesauribile da scoprire e da completare, per attraversare il mondo dove anche in questi ultimi mesi sono accadute molte cose e dove si accatastano emozioni contrastanti, spettri nucleari, surriscaldamenti imminenti.
Andiamo alla ricerca della verità e sappiamola con coraggio confutare innanzi alla prova dell’esperienza; osserviamo, cerchiamo di declinare i principi ideali e i sogni con l’azione. Nell’urlo vi è già in stato embrionale la possibilità di una svolta, e allora pensiamo. I saggi orientali dicevano che tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri, con i nostri pensieri costruiamo il nostro mondo. Tra un pensiero e la sua traduzione in espressione, la distanza è breve.
Da qui si riparte per scoprire i principi ideali e si guarda a sogno e al presente che avanza con il racconto di un attimo, nella foresta, vissuto da un padre e una madre: “Un giorno, guardarono nelle ombre e cantarono piano una canzone alla notte. Diceva: ‘Sogna per il mio bambino, così un giorno avrà il potere’”.
Scriviamo, sogniamo e viviamo per il futuro che arriva, per le radici che ci sostengono, per gli incontri che faremo “come se vivessimo per sempre, come se dovessimo morire oggi” disse una volta un amico comune.

domenica 10 febbraio 2008

Metamorfosi. Come e perchè innamorarsi della filosofia

Filosofia…mi dicono essere una parola greca. Dicono nasca nel VI° secolo a.C. Miriadi di persone chiamate filosofi mi appaiono a una prima occhiata così, come dire...stupidi.
La domanda che mi sono fatta nell’ascoltare la prima lezione è stata: “Come può una persona complicarsi così la vita???”. Mille domande, mille contraddizioni, mille teorie.
Poi man mano che il tempo passa ti rendi conto di quanto sia folle non dedicarsi a tale disciplina così straordinariamente complicata e interessante. Così stronza da farti sentire tanto stupida quando manca qualcosa ai tuoi ragionamenti, quel pezzo di un puzzle infinito che non riesci a combinare.
Ma è proprio quando trovi la combinazione giusta che non riesci a fare più a meno di ragionare per trovare il prossimo pezzo. Emozione.
Già, come l’emozione di un bambino alla scoperta di un nuovo gioco, come quella dell’adolescente che si guarda attorno e capisce di essere qualcuno e ricerca la sua identità in ogni dove e in ogni quando.
Una professoressa, una classe, un quaderno e la tua mente che viaggia, che deve completare un ragionamento che sembra impossibile. Come le montagne russe, l’attesa che ti agita, la salita che ti crea un vuoto, senti che non ce la puoi fare, vorresti scendere, ma poi la velocità cresce e ciò che ti circonda non è che la tua voce che esce dalla tua bocca intensamente
e scarica tutte le ansie e le paure. Adrenalina, sì, proprio lei.
Quando scendi sei impaziente di rincominciare. Nuovo giro stesse emozioni...anzi sempre di più. Le tue corde vocali vibrano così forte che non hai più voce, ma ne senti ugualmente il bisogno. Così è la filosofia...un giro interminabile dentro di te e in ciò che ti circonda. Una continua ricerca e una continua sorpresa. La filosofia è quella cosa tanto fastidiosa quanto meravigliosa. Così astratta quanto concreta per il tuo cuore e la tua mente. Così una disciplina da libri quanto tua compagna personale di vita. Come posso dunque esprimere ciò che sento se non con il suo stesso significato.. amore per il sapere. E’ proprio questo la filosofia, è un infinita valle in cui mi perdo ogni giorno dove i miei pensieri sono liberi da vagare senza gli schemi di ogni giorno.
Chiara Magnani

Perchè ridiamo?

La risata di un uomo è dovuta ai sentimenti che in quell’istante prova la persona. Volete sapere i sintomi? Ecco qua. Si fa un profondo respiro. Si getta la testa all'indietro.
I muscoli del volto, del collo, del diaframma, dell'addome si tendono e dalla bocca esce un suono regolare, esplosivo a irrefrenabile. Quando il fiato è esaurito, si inspira altra aria a le variazioni sillabiche riprendono. Se sono vigorose e intense, i muscoli di mandibole e addome cominciano a dolere e gli occhi a lacrimare.
La risata è un linguaggio universale che conoscono addirittura le scimmie primate. Queste sono parole di Charles Darwin: "Sia negli uomini sia nei primati la risata è legata a un atteggiamento giocoso, anche se in questi ultimi è sempre prodotta da un contatto fisico, come il solletico o la finta lotta".
Il modo in cui si ride è però diverso per tutti: chi emette acuti stridi, chi cornacchia, chi fa fatica ad emettere suoni e chi invece ha una risata fortemente contagiosa. In genere ridiamo quando siamo predisposti, di buon umore, allegri. Esistono infatti diversi tipi di risata.
In genere, si tratta di una risposta emotiva di fronte all'esperienza del comico, o di sensazioni intense di allegria, piacere, benessere, ottimismo. Tuttavia, la risata può anche avere il ruolo di sfogo di emozioni di segno opposto, come la tristezza e la rabbia (in tal caso, nel linguaggio comune, si parla di risata nervosa).
Ci sono anche cause fisiche che possono stimolare la risata a prescindere da qualunque contesto emotivo; per esempio il solletico o l'inalazione di ossido di azoto (detto proprio per questo motivo "gas esilarante").
Nella storia diverse persone importanti parlarono della risata: Platone pretendeva che fosse regolamentata nella sua Repubblica perché poteva disturbare l'ordine costituito; Socrate ne raccomandava un uso parsimonioso, come il sale; Aristotele sosteneva che distinguesse l’uomo dalla bestia; Pitagora invece la proibiva ai suoi discepoli; Sigmund Freud la vedeva come una valvola di sicurezza per sfogare energia repressa.
Alcuni medici sostengono che aumentando il battito cardiaco faccia male, ma penso invece che sia il gesto più sano e liberatorio che una persona può compiere.
Samuele Pignedoli

Tempo perduto. ...e rintracciarvi una parvenza di senso

E' rinchiusa nei libri obbligatori e troppo poco sfogliati dagli studenti, nei grandi saggi degli autori del passato. Il passato è il protagonista della filosofia: oggi le discussioni universitarie vertono sui problemi d'interpretazione, sulla contraddittorietà o meno dei maestri pensatori; insomma si rigirano su se stesse senza attualizzare!
Ma l'attualizzazione non basta: si dovrebbero avere nuove intuizioni per riformulare i possibili modi di vivere, fornire alternative a una realtà che non soddisfa, per migliorare e sperare. La filosofia dovrebbe ricondurre l'uomo verso quel senso tanto bramato, dovrebbe guarirlo dalla sua alienazione.
Il progresso tecnologico oggi rende l'uomo apparente signore della terra. Questo suo voler spadroneggiare con tanta dimestichezza e invasività non viene ridimensionato da nessuna forza, da nessun giudizio positivo che salvi l'uomo dal perdersi nelle sue stesse macchine. Manca il perchè sulle azioni: l'intera società si preoccupa solo del come si fanno le cose e se dei perchè esistono sono talmente lontani dal loro oggetto di appartenenza che risultano incredibili e poco attendibili. Sia che si tratti di tecnologia, politica, economia, si parla sempre di agire per il progresso, per la pace, la democrazia, l'uguaglianza.
Tutti questi baluardi funzionano a mo' di paraocchi: sono valori che la storia è riuscita ad affermare dopo tanto tempo, dopo anni di lotte, sacrifici, e che oggi nel mondo occidentale sono palesati come assoluti e inconfutabili. Sono un ottimo scudo difensivo, ma siamo sicuri che la società rispetti questi valori con i fatti?
Malauguratamente manca il tempo per rifletterci, perchè l'agenda presenta una tabella di marcia da rispettare, e l'outsider che pensa è considerato un'inutilità. Quando si deciderà di ascoltare anche il suo pensiero e considerare la sua filosofia quella apportatrice di senso?
Quando si screditeranno le false filosofie dettate dall'alto per giustificare magari decisioni politiche, azioni bellicose, apparati tecnologici invasivi ma votati al progresso?
Se la cultura del concedersi una pausa di riflessione soli, con se stessi, potesse entrare nelle case, scorrere nei cavi elettrici, comparire sullo schermo del TV, far squillare telefoni e illuminare computer, catalizzare le connessioni vere e autentiche tra persone in carne ed ossa, allora la tendenza del mondo verso l'alienazione invertirebbe il proprio senso di marcia e saremmo veramente padroni delle nostre tecnologie. Non attingeremmo le verità di plastica dagli assurdi media di oggi, ma avremmo tutti il tempo per rintracciare i frammenti di senso.
Diletta Pignedoli

Tempo perduto. Come ricucire i propri brandelli...

Le pause nella vita di un giovane occidentale in carriera non si trovano mai sole: si accompagnano sempre a un oggetto, a un'azione, a una simbolica occupazione. Esiste la pausa-pranzo, la pausa-caffè, la pausa-sigaretta. Anche attraverso le pause si è voluto trovare, nel fissare appuntamenti e impegni, la cura all'ultima grande epidemia di peste: la paura di rimanere soli.
Chi è che impedisce alle pause di essere libere e svincolate? Di essere se stesse e di non fare altro che il puro niente? Sembrerà pur banale, tipo risposta da quiz-show, ma che non sia il consumismo, l'industria a imporci sempre e comunque la produttività. Solo colui che produce è utile alla società e il suo lavoro risulta tanto più pregiato quanto più è consistente.
Infatti, chi oggi non si sentirebbe in colpa a produrre quel cosiddetto "niente" per un pomeriggio intero? Un soggetto del genere verrebbe considerato un'inutilità.
E l'inutilità cosa pensa? Quali sono le meditazioni di chi resta in pura pausa, di chi ha il coraggio di affrontare se stesso e opporsi ai meccanismi aggrovigliati che ci costringono alle nostre agende? Cosa "produce" il prode nullafacente che si disfa della propria uniforme e della propria etichetta per recuperare il senso?
Pensa probabilmente, da saggio outsider qual è, che l'uomo del nuovo millennio sta perdendo la sua natura: ha troppa storia da ricordare dietro di se e il relativismo, che si è così faticosamente e meritatamente conquistato, lo destabilizza. Invece che apportare fantasia e interessanti diversificazioni di modi e stili, frantuma la realtà in troppi individualismi scalpitanti.
Comprende anche, il nostro vecchio outsider, l'impossibilità di ricomporre tutti i pezzi di mondo per rintracciare il senso, quella sete di verità e certezza che tutti bramano. "I testi si moltiplicano e i linguaggi evolvono il proprio sincretismo. Il senso è rintracciabile ovunque, in particelle, segmenti, manifestazioni di culture che sono frammentarie entità alle periferie del mondo".
Qualcuno ha detto che nel nostro tempo la storia ha raggiunto il suo capolinea: è finita l'epoca delle Grandi Narrazioni, dei grandi sistemi di pensiero che, pur nella loro azione passivizzante, davano un ideale in cui credere. La filosofia dell'utopia, della rivoluzione, la luce che ci porta fuori dalla caverna dell'ignoranza, che da' vita, dove è finita?
Diletta Pignedoli

venerdì 1 febbraio 2008

EFFETTO FARFALLA - Racconto surreale di azione-reazione (II parte)

Nearco ce l'ha con Shari.
Nearco ce l'ha un po' con tutto il mondo, in realtà, ed è comprensibile dato che quando è nato gli hanno appioppato un nome del cazzo.
Vorrebbe chiamarsi Ulisse, e per questo ha ventidue quaderni con scritto Ulisse in ogni pagina, dodici volte per riga. Vorrebbe chiamarsi Ulisse, ma si chiama Nearco, e per questo ce l'ha col mondo intero.
In particolare con Shari.
Noi non giudichiamo, siamo qui per leggere, ma non possiamo negare di essere un po' solidali con lui. Oltre alla disgrazia anagrafica di avere ereditato il nome di un obliato condottiero macedone, ci instilla simpatia la proverbiale sfiga di Nearco. Vogliamo dargli torto? Torni a casa un po' prima del solito e trovi tuo fratello – nel tuo letto fresco di bucato – a studiare l'anatomia della tua ragazza.
Non è che di cose logiche da fare ce ne fossero molte, in quel frangente, dopo aver scagliato contro il muro un po' di oggetti fragili e dopo aver buscato la tradizionale sbronza da cuore spezzato.
Il giorno dopo che si fa? Ci si taglia i capelli
si dipingono le pareti
si mangia un chilo di gelato
si guarda un film strappalacrime
o si ammazza la fedifraga.
Non è che di alternative ce ne siano molte di più.
Del resto la famiglia è sempre la famiglia, i parenti mica puoi venderli su eBay.
L'etica prima di tutto: eh (l'etica, se ci fosse più etica al mondo), Nearco lo pensa sempre.
Abbiamo vittima, movente e colpevole. Ma noi vogliamo veder scorrere il sangue, o no?
Bene, seguiamo Nearco.
Lui è tutto tranne il tipo che rovescia il caffè, quando si alza la macchinetta è già accesa da sedici minuti, esattamente il tempo che serve per scaldare l'acqua ma non troppo. Tiene premuto il pulsante giallo per quattro secondi, esattamente il tempo che serve per avere un caffè ristretto ma non troppo. Dopo avere posizionato la tazzina nella lavastoviglie e avere avviato il programma tre – lavaggio profondo ma non troppo – decide di andare a fare due passi.
Non andrà in biblioteca oggi, perché sa che incontrerebbe Shari e non ne ha voglia, è ancora presto. I cuori feriti hanno bisogno di tempo e spazio, si sa.
Ma non troppo.
Ricorda perfettamente ogni mossa di Shari, sa che ogni giorno prende l'autobus delle 7:38 per scendere in centro. Di solito anche Nearco prende lo stesso autobus, ma oggi decide di fare uno strappo alla regola. Nearco è tranquillo, dopo aver pianificato una minima variazione sul tema che gli consentirà di non incrociare gli occhi di quella puttana.
Se la vedo la ammazzo, ma sto bene, perché non la vedrò.
Proprio lui, che ha sempre tutto patologicamente sotto controllo.
Cosa direbbe, se sapesse che lei sarà in ritardo e lui sarà costretto a vederla con lo stesso sorriso stronzo di sempre, non cambiata di una virgola e lui si ricorderà improvvisamente di avere un coltello a serramanico nella tasca interna della giacca?
Riderebbe, Nearco, lui che sa sempre come andranno a finire le cose.
Riderebbe di sé, se credesse anche solo per un momento che una coincidenza del genere possa avere luogo proprio oggi. Non sarebbe da lui, lui ha sempre tutto sotto controllo.
Lui crede fermamente che alle 7:48 Shari non sarà lì, quindi non dedica nemmeno un atomo di pensiero alla possibilità di trovarsi davanti a lei, vedere sul suo collo segni stranieri e le dita spoglie di anelli.
L'ultima - e forse la prima - cosa che lo lega a Shari è l'inconsapevolezza.
Inconsapevolezza del copione di vittima e carnefice che interpreteranno tra poco, inconsapevolezza del loro destino di stelle della cronaca locale per i prossimi sei giorni, fino a quando non saranno sostituiti da altri Bravi Ragazzi Morti Tragicamente e altri Cattivi Ragazzi Problematici Non Abbastanza Compresi dalla Società.
Nessuno di noi ha difficoltà a mettersi nei loro panni, vero?
Voglio ritagliarmi una giornata per me, andare al parco a leggere un libro, non pensare alla mia ragazza che mi ha tradito con mio fratello... E finisco per ficcarle una lama in mezzo alle costole, e bagnarmi le mani del suo sangue.
Non è una cosa che si possa progettare a colazione, davanti a una tazza di latte parzialmente scremato piena di cereali poveri di grassi saturi e ricchi di ferro ma non troppo.
Se non che.
Se non che, i cereali poveri di grassi saturi e ricchi di ferro ma non troppo sono quasi finiti. Nella scatola ce ne sono 27 grammi, e una colazione sana ed equilibrata ne prevede 35.
Nearco sbuffa, e va a prendere una scatola nuova.
Dopo aver aggiunto gli 8 grammi necessari può finalmente iniziare a mangiare, seguendo le trentatré masticate necessarie a una sana digestione. Mangiare in fretta equivale ad allacciarsi un cappio di seta al collo, così dicono gli esperti.
Un minimo dislivello, ma sa che arriverà puntuale all'autobus delle 7:48.
Lui non arriva mai in ritardo, per questo non affretta il passo uscendo di casa.
Poi vede l'autobus delle 7:48 che si sta fermando, facendo gli ultimi metri di corsa ce la può fare.
Vede anche Shari, che si appresta a salire.
Non è possibile, lei non deve essere lì. Invece c'è, e non si è nemmeno accorta di lui.
Nearco attraversa la strada di corsa, infilando inconsciamente la mano in tasca, dove sa che c'è il coltello. La raggiungerà prima che salga.
Ora sa. Sa che sta per ucciderla, non può più evitarlo.
Corre ma non troppo, per paura di cadere.
Lasciamolo un attimo fermo.
*****
Nemmeno Sarah sa, ma lei è più tollerante.
Non impreca contro la barista che tarda a darle il resto, né si arrabbia per il tacco che si rompe sul selciato di viale Mazzini.
Lei la prende con filosofia – salvo poi ricordarsi che ha un cartellino da timbrare, e di conseguenza accelerare a tavoletta dopo essersi accorta di essere in ritardo marcio.
Accelera su una via quasi deserta, ci passa giusto qualche bus alla mattina, cosa vuoi che succeda.
Succede che le sbuca davanti un ragazzo sulla ventina, che sta correndo per non perdere l'autobus. Sembra che abbia qualcosa in mano, forse un coltello, ma è difficile dirlo. Sarah non riesce nemmeno a vedere che faccia abbia, prima di vedere il suo cranio a pezzi contro il parabrezza.
Shari osserva tutta la scena da fuori, inorridita.
Condannata da un caffè e salvata da un tacco e una manciata di cereali.
Assurdamente libera. Ma non troppo.
(Foto di Ronja N. / youthphotos.eu)
(Disegno di Mitarashi - Gaia Online Commission)

Barbara Palladini