venerdì 25 gennaio 2008

EFFETTO FARFALLA - Racconto surreale di azione-reazione (I parte)

Come darle torto.
Come mai avrebbe potuto immaginare, Shari, che in quella assolata mattina stavano fiorendo i primi germogli di un casino. Forse, se avesse saputo con precisione cosa la aspettava, avrebbe fatto qualcosa di più elevato, come scrivere una poesia. Non era bello pensare che l'ultima cosa che aveva fatto prima di uscire di casa fosse stato lavarsi i denti con espressione da zombie e sputare il dentifricio con veemenza contro la ceramica bianca del lavandino.
Bianca, sì – innocente, veicolo di abluzioni mattutine purificanti.
Ma cazzo, come si fa a lavarsi via il destino.
Lei non sapeva, bianca anche lei della sua ingenuità disincantata, e letale.
Il caffè, forse, segnò il confine. Il fatto che fosse il capro espiatorio più evidente non significava che fosse l'unico. La necessità di trovare un atomo di colpa, forse, divenne la scintilla dell'imputazione.
Se solo un ragionamento a priori fosse piovuto dal lampadario sul tavolo della cucina, magari.
Ma come chiedere a lei, appena svegliata, di sciogliere nel caffè un cucchiaio di se e uno di ma al posto del solito zucchero raffinato, e mescolare tutto con un condizionale.
In un certo senso lei è morta bevendo il solito caffè di ogni giorno.
Ora sappiamo tutti quanti che Shari è morta, quindi eviteremo inutili climax di tensione e potremo narrare con tranquillità prima di arrivare al dunque.
Ma adesso non guardiamola con la compassione di chi vede la propria nonna spegnersi in mezzo alle coperte di piuma d'oca, insomma, facciamo che non vi abbia detto niente. Guardiamola mentre avvicina le labbra alla tazza e facciamo finta che non stia firmando la sua condanna a morte con una bic nera da cinquanta centesimi.
Fingiamo pure che sia stato ininfluente, il capriccio neuromuscolare che ha fatto sì che quel caffè se lo sia rovesciato addosso. Mettiamo da parte la costituzione gerarchica degli eventi e narriamoli come un filo che si srotola da solo, senza trainare né essere trascinato da altri fili.
Facciamo un passo avanti, non c'è voluto molto a buttare la maglietta sulla catasta di biancheria sporca. È indispettita dall'imprevisto, ma non tanto quanto dovrebbe. Quello che risuona nell'aria è poco più di un vaffanculo sibilato nella fessura tra gli incisivi. Finisce il poco caffè rimasto nella tazza e decide di prepararne dell'altro.
Forse è il clac della cialda che si incastra nella macchinetta. Forse è il gorgogliare sommesso dell'acqua che fluisce nei tubi, il requiem di Shari. Niente di edificante, in ogni caso. Non lo sappiamo, né lo sa lei.
Bastano quei due minuti a far sì che lei si attardi e perda l'autobus delle 7:38.
Basterebbe questo a spiegare, ma abbiamo deciso di non crederci, ricordate?
Quindi, usciamo di casa. Seguiamola mentre – poco convinta – dice a se stessa che se allungasse il passo ce la farebbe a prendere l'autobus in tempo. Si incita a fare in fretta, ma con poca autorità, come se una microscopica parte di lei avesse già gettato la spugna. Cazzate. È solo stanca, ha sonno, ieri sera ha bevuto un martini o due di troppo. Noi non crediamo all'onniscienza causale, ricordate?
Fretta e stanchezza si annichilano, uguali e contrarie, e Shari cammina al solito passo, solo più teso e nervoso. In fondo ha motivo di avere lo stomaco attorcigliato, perché oggi ha un esame che non può non passare. Se avesse studiato di più non starebbe andando in biblioteca a ripassare, ma i condizionali non ci interessano, vero? A noi interessa vederla imprecare contro i trasporti pubblici, che sono in perfetto orario solo oggi che non dovrebbero, che seguono i dettami di un Fato umorale, che non perdonano l'onta del caffè rovesciato. Che il telefono abbia svegliato l'autista della linea 4 due minuti prima, stamattina...? Poco importa, perché è lì in beffardo anticipo, e Shari è dall'altra parte della strada, duecento metri indietro, e non ce la farà mai a raggiungere la pensilina prima che riparta. Non si illude di essere diventata nottetempo una scattista, e oltretutto ha una borsa pesante a tracolla. Rinuncia, prenderà la prossima.
Si appoggia al palo della fermata con il fiato corto, aspettando le 7:48 che non vedrà mai.
La tabella degli orari, protetta da una cornice di plastica e piena di condensa piovana, è piuttosto scarno come epitaffio.
Inizia a pensare a quanto fosse pedante lui, con la sua puntualità svizzera e intransigente. Quando viveva ancora con lui non arrivava mai in ritardo, il caffè non si rovesciava e i vetri erano sempre puliti. Si perde nell'immagine di lui che ha nella mente, troppo ritoccata da mesi di assenza per conservare una parvenza di credibilità. Questo rende Shari poco interessante per noi, passiamo altrove. Tanto lei è lì che aspetta, e niente è più statico di qualcuno in attesa.
(Foto di Davide Giannella / flickr.com/photos/davideg/)
(Disegno di Mitarashi)
(Fine prima parte)
Barbara Palladini

Nessun commento: