domenica 20 gennaio 2008

Rinnovare il giornalismo: l'esempio di Kapuscinski

Le parole di un uomo che ha osato. Ryszard Kapuscinski ha osato andare controcorrente, sfidando la sempre più diffusa tendenza di fare del giornalismo un marketing, non un’arte. Un giornalista che non si è accontentato di assemblare mezze cronache senza calarsi nei fatti, di scrivere per sentito dire o, peggio, rendendo l’informazione un’attraente notizia da vendere.
Con coraggio e dedizione ha cercato di condividere almeno un pezzetto di vita con ogni soggetto dei suoi reportage, per riuscire a cogliere gli umori, apprezzare i valori della gente, respirare il reale vissuto, capire i contesti e dare rilievo alle sfaccettature. Non era un semplice mestiere il suo, piuttosto una missione, per raggiungere i suoi scopi e arricchirsi veramente. Ma quali scopi poteva promettersi e quali ricchezze se, nato da una famiglia povera della Polonia stalinista, non avrebbe potuto possedere né denaro né domini?
Qui sta la differenza con il giornalista-tipo di oggi. Questo uomo voleva veramente dare una nuova vitalità alle storie degli uomini, raccontare il presente e non lasciarlo ignorato. I suoi reportage avrebbero urlato le vicende delle persone senza voce, silenziose, che non hanno il potere di parlare e ribellarsi: le vicende dei poveri. Probabilmente si è trascinato nel corso della sua vita, come un importante patrimonio, proprio la miseria della sua infanzia, a nove anni ancora analfabeta, scalzo per le vie di Varsavia a vendere saponette per comprarsi un paio di scarpe.
Come reagire, davanti all’ingiustizia della povertà e dell’oppressione? Trovando nella "parola incontrollata, in libera circolazione, clandestina, ribelle, senza uniforme, non certificata, terrore dei tiranni (…) il catalizzatore indispensabile" lo strumento di lotta contro il quale il potere si rivela scoperto, senza difesa.
(Foto di Anna Da Sacco / bumerang.it)
Diletta Pignedoli

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